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NATALE 2013 - LE TRE MESSE
NATALE: MESSA DELLA NOTTE
PRIMA LETTURA Is 9,1-6
Dal libro del profeta Isaia
Questa pericope conclude una sezione (7,1-9,6) consacrata alla difficile situazione contemporanea. A causa della stolta politica del re Acaz e di tutta la Casa di Davide, il piccolo regno di Giuda sarà invaso dall’esercito del re di Assiria, ma non al punto da scomparire, perché il Signore è fedele alle sue promesse riguardo a Gerusalemme e alla discendenza davidica.
La sezione è attraversata dalla nascita di tre bimbi: l’Emmanuele, Mahèr-salàl-cash-baz (Presto saccheggia, lesto depreda) e infine il rampollo della stirpe regale.
La sua nascita dà origine al riscatto del popolo dalla dura schiavitù dell’oppressore.
La lettura messianica si evidenzia soprattutto nei quattro titoli del Bimbo regale che non sono recepiti né dalla Settanta e neppure dall’esegesi ebraica, che attribuisce al Messia solo il primo titolo «Consigliere ammirabile» mentre attribuisce gli altri tre a Dio.
Per la Settanta valga questa osservazione di d. G. Dossetti: «Mi pare che non sia senza senso il fatto che la traduzione greca dei Settanta non abbia avuto il coraggio di conservare questi titoli e li ha abbreviati, riducendoli a uno solo: «Angelo del gran consiglio». Non c'è «Padre per sempre» e non c'è «Dio forte». Hanno avuto un po' di pudore, forse hanno pensato che poteva fare sospettare di politeismo chiamare un bimbo «Dio forte» (Omelie del tempo di Natale, p. 36).
Le varianti tra la versione CEI e il testo ebraico sono evidenziate nel commento.
9,1 Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Lett.: Il popolo, quelli che camminavano nelle tenebre videro una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
Il popolo, quelli che camminavano nelle tenebre; le tenebre appartengono al caos iniziale (cfr. Gn 1,3) e rappresentano una grande tribolazione; camminare in esse significa non saper dove andare e vivere senza speranza di uscirne (cfr. 1 Gv 2,11: chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi).
Il passaggio dal singolare al plurale (camminavano … videro) mostra come la Scrittura non veda il popolo come una massa informe e senza volto ma al contrario come formato da singoli che all’interno del popolo fanno l’esperienza, prima delle tenebre e poi della luce.
Al popolo appare improvvisa la grande luce. Con questa immagine è espressa la redenzione. La luce è infatti parte integrante della Gloria del Signore al punto da essere una definizione stessa di Dio (cfr. 1 Gv 1,5: Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre).
Nel Sal 112,4 si dice: Spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e giusto. Dio è la luce dei redenti e con la sua presenza tutto si trasforma in luce. Il salmista, che vorrebbe essere avvolto dalle tenebre, esclama: Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce (Sal 139,11-12). Anche alla legge è attribuito il dono di essere luce: il comando è una lampada e l'insegnamento una luce (Prov 6,23).
Immersi in una tenebra priva di speranza, all’improvviso essi vedono la grande luce, che emana da Dio e che illumina le loro menti: questa luce è la Parola, che prima essi avevano disprezzata e che ora accolgono. Questa Parola si è mostrata vera nel Bimbo regale.
Questa è la luce piena che non può più essere definita tenebre (cfr. 5,20: cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre).
Non solo a quanti camminavano nelle tenebre ma anche a coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Essi vi abitavano senza speranza, non cercavano di fuggire lontano dalle tenebre ma vi avevano stabile dimora e quindi non si aspettavano la luce.
La terra tenebrosa è probabilmente il soggiorno dei morti. Anche in questa regione di morte giunge la luce della redenzione. Il ministero del Cristo non si ferma solo a coloro che camminano sulla terra ma anche a coloro che abitano nello Sheol privi completamente della luce (cfr. 1 Pt 3,18-19: E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione).
2 Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Lett.: Hai moltiplicato la gente, hai aumentato la gioia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda
Hai moltiplicato la gente; nonostante che camminasse nelle tenebre e fosse già come morta, il Signore ha moltiplicato la gente e le ha aumentato la gioia. Come accadde in Egitto che il popolo cresceva e dopo l’oppressione fu liberato e per la gioia cantò il canto di Mosè, così accade ora. Il Signore ha ricolmato il suo popolo di una gioia così grande da fargli dimenticare la sofferenza precedente. Infatti è la stessa gioia di chi miete, come è detto nel salmo 126,5: Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo. È la stessa gioia di chi divide il bottino del nemico sconfitto, come è detto nel salmo 119,162: Io gioisco per la tua promessa, come uno che trova una grande preda. La gioia è propria di chi ha vinto il nemico che finora li aveva dominati, come dice il Signore: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino» (Lc 11,21-22).
3 Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Màdian.
Lett.: Poiché il giogo che gli pesava e la sbarra sulle sue spalle, il bastone del suo aguzzino tu hai spezzato come nel giorno di Madian.
Giogo e sbarra indicano schiavitù e lavori pesanti sotto la sorveglianza dell’aguzzino facile a colpire. Il Signore ha spezzato questo giogo di oppressione, come fece nella schiavitù egiziana (cfr. Es 5,14: Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i sorveglianti del faraone avevano costituiti loro capi). Il popolo era ridotto al rango di bestie da lavoro e di schiavi su cui l’oppressore gravava con la sua autorità espressa nei termini sbarra (lett.: verga) e bastone. Il profeta ricorda la liberazione che il popolo ottenne al tempo di Gedeone (Gdc 7-8), celebrata anche nei salmi (cfr. Sal 83).
4 Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Lett.: Poiché ogni calzatura di chi calza con fracasso e ogni vestito insozzato di sangue saranno bruciati, esca del fuoco.
L’esercito oppressore è visto nell’angolatura del fracasso delle sue calzature e i vestiti insozzati di sangue stanno a indicare le molte stragi compiute.
Ma questo esercito sarà ridotto all’impotenza e calzature e vesti inutilizzabili saranno bruciati, esca del fuoco; invece forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra (2,4).
La profezia volge lo sguardo a questa visione di pace verso la quale converge tutta l’umanità, l’insieme di tutti i popoli).
5 Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Lett.: Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il principato ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio valoroso, Padre per sempre, Principe della pace;
Egli non ha un nome proprio perché egli emerge dal mistero di Dio e nello stesso tempo è figlio del suo popolo.
Invano lo si può far coincidere con un personaggio storico, quale ad esempio Ezechia, perché egli ha appellativi divini.
Nell’Emmanuele era annunciato il suo concepimento verginale, qui è indicata la sua nascita nel tempo.
Perché il profeta usa il passato? Perché nella profezia gli avvenimenti sono visti nel loro adempimento e il profeta annuncia la redenzione come già in atto e quindi l’evento centrale di essa è salutato come presente.
È anche vero che la nascita del Bimbo regale può trovare sue parziali realizzazioni in attesa del suo pieno rivelarsi.
Il Bimbo ha sulle sue spalle il principato davidico e quindi messianico, perciò egli è in grado di rompere il giogo che pesa sul popolo e la sbarra che è sulle sue spalle (v. 3).
Egli è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio valoroso, Padre per sempre, Principe della pace.
Questi sono i quattro appellativi con cui il Bimbo è chiamato e che ne rivelano l’intima natura.
Consigliere ammirabile. In lui il consiglio desta meraviglie perché il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa (Gv 5,19). In Lui abbiamo la rivelazione del Padre e la sua manifestazione di potenza, come dice poco oltre: «Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati» (ivi,20).
Dio valoroso, In Lui si manifesta la stessa forza di Dio nel salvare il suo popolo. Il suo nome infatti è Gesù, che significa Dio salva. Ed Egli stesso si paragona al più forte che strappa la preda al forte (cfr. Lc 11,21-22).
Padre per sempre. Il Messia è padre dei piccoli e dei deboli per sempre; Egli non li abbandona mai. Infatti durante la cena Gesù chiama i suoi discepoli figliolini (Gv 13,33; 21,5).
Principe della pace. Il suo regno porterà la pace al suo popolo, come subito dice. Questa è la pace che Gesù comunica a coloro che accettano la regalità di Dio su di loro, come più volte Egli dice (cfr. Gv 14,27: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore).
6 Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
Lett.: grande diverrà il suo principato e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il giudizio e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
Essendo il principe della pace il suo principato si farà sempre più esteso e la pace non avrà fine. Il suo regno quindi non sarà soggetto alla variazione delle guerre, alla diminuzione del potere ma al contrario esso sempre più si affermerà secondo le parole dell’angelo alla vergine Maria: «il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33). L’apostolo commenta: Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi (1 Cor 15,25-27).
Il Cristo regna sul trono di Davide e sul suo regno. Vi è la continuità e vi è la novità. Egli è nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, è costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti (Rm 1,3-4). Egli regna quindi su Israele; Egli è Gesù il Nazoreo, il re dei giudei (Gv 19,19) e da Israele il suo regno si estende su tutti i popoli (cfr. At 1,8).
Il suo regno si consolida e si rafforza non attraverso le armi ma con il giudizio e la giustizia. Il re messia esercita il giudizio con giustizia come dirà in seguito e in questo vi è un ricordo di Davide (cfr. 2 Sam 8,15: Davide regnò su tutto Israele e pronunziava giudizi e faceva giustizia a tutto il suo popolo).
Dalla nascita del Bimbo tutto è cambiato: il diritto e la giustizia hanno il sopravvento fino a giungere alla pienezza nella manifestazione gloriosa del Cristo.
Tutto questo è opera dello zelo del Signore degli eserciti. Nonostante l’infedeltà del suo popolo, il Signore è mosso da gelosia, che in Lui arde come fuoco puro (cfr. Gio 2,18; Zac 1,14). Questo è il fuoco che il Signore Gesù è venuto a portare sulla terra e che vuole sia acceso (cfr. Lc 12,49).
Nota
Il bimbo e figlio è presentato con titoli divini «Consigliere ammirabile, Dio valoroso, Padre per sempre, Principe della pace». In questi titoli si condensa la sua origine divina e nello stesso tempo umana, la sua missione e quindi egli solo sarà in grado di portare la pace promessa come frutto della giustizia.
Gesù, il Cristo e Figlio di Dio, esprime perfettamente in sé questi titoli in parte divini e in parte messianici. Noi non abbiamo bisogno di spartirli tra Dio e il suo Cristo – come fa l’esegesi ebraica -, ma possiamo tutti attribuirli al Cristo, come insegna s. Giustino:
«Prima di essere crocifisso proclamò infatti: Il figlio dell'uomo deve molto soffrire ed essere riprovato dagli scribi e dai farisei, essere crocifisso e risorgere il terzo giorno (Mc 8,31; cfr. Mt 16,21). E Davide ha annunciato che egli sarebbe stato generato dal grembo prima del sole e della luna (Sal 110,3 + 72,5.17) secondo il volere del Padre, ed ha manifestato che, in quanto Cristo, e Dio potente (cfr. Is 9,5) è degno di adorazione (cfr. Sal 45,13; 72,11)».
SALMO RESPONSORIALE Sal 95
R/. Oggi è nato per noi il Salvatore.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome. R/.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. R/.
Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta. R/.
Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. R/.
SECONDA LETTURA Tt 2,11-14
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito
Figlio mio, 11 è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini
È apparsa infatti, il testo si collega al precedente e ne dà la motivazione: tutti coloro che sono nella Chiesa sono chiamati a vivere così perché è apparsa la grazia di Dio (Girolamo).
È apparsa, come è detto: per illuminare quelli che sono nella tenebra e nell'ombra di morte (Lc 1,79) e altrove: il popolo che cammina nelle tenebre vide una grande luce (Mt 4,16)
La grazia di Dio è apparsa in Cristo, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), e quindi è apportatrice di salvezza perché Gesù è il nostro salvatore, dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Gesù è ora presente in mezzo a noi nella sua grazia che dona salvezza. Egli si fa presente a tutti gli uomini perché è la luce che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Ognuno, secondo il suo proprio è illuminato dalla luce del Verbo e incontra la grazia del Cristo.
12 e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà,
C’insegna, quello che, nell'A.T, è compito della Legge, nel N.T lo è della grazia: la Legge forma dall'esterno, la grazia educa e istruisce dall'interno, per questo è chiamata salvatrice.
A rinnegare, come c’insegna il Signore: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
L’empietà è l'idolatria, che c’impedisce di credere in Dio.
I desideri mondani sono elencati in 1 Gv 2,16: La concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita.
sobriamente verso noi stessi
giustamente verso gli altri
piamente verso Dio (s. Bernardo).
13 nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Essa è pure grazia che ci fa attendere la manifestazione del Signore.
La beata speranza, è la beatitudine sperata. La speranza infatti è ora nell'attesa e giunge al suo compimento nella beatitudine.
Così preghiamo durante l’Eucaristia: nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo.
La beata speranza ha come oggetto la manifestazione della gloria (ora si manifesta la grazia) del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.
Egli si manifesta come il grande Dio, il Dio degli dei, davanti al quale si prostrano tutte le potenze spirituali, come è scritto: e lo adorino tutti gli dei (Sal 96,7).
Per noi Egli è il salvatore, per cui lo attendiamo con gioia.
14 Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Questa beata speranza è in noi perché Cristo ha dato se stesso per noi; Egli ci ha tanto amato che ha dato se stesso, come Egli stesso dice: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
Egli consegnò se stesso accettando liberamente la volontà del Padre per noi (cfr Gv 3,16).
per riscattarci dalla schiavitù del peccato, della morte e del diavolo.
da ogni iniquità, ciò che è contrario alla Legge: infatti non potevamo osservare la Legge a causa delle nostre passioni, della legge del peccato che è nelle nostre membra (cfr. Rm 7,23).
puro che gli appartenga, cioè eletto cfr. Es 19,15: caratteristica dell'alleanza.
zelante, bramoso di fare le opere buone cfr. v. 7.
Nota.
Il primo testo della lettera a Tito è nel contesto dell'insegnamento sul modo di comportarsi delle singole categorie ecclesiali.
In queste si è infatti manifestata a tutti gli uomini la grazia salvatrice di Dio. Il battesimo è la manifestazione di questa grazia salvatrice, che diventa un invito a tutti gli uomini ad accoglierla.
Infatti è proprio del battesimo rinnegare l'empietà e le bramosie mondane.
L'empietà è propria di chi disprezza Dio ed è arrogante nei suoi confronti. Il termine è greco e sta ad indicare la mancata venerazione verso la divinità. Questa è accompagnata dall'arroganza e dalla sfida a Dio.
Le bramosie mondane sono il morboso attaccamento alle creature elevate al rango divino oppure sfruttate per il proprio piacere. Cfr. 1 Gv . La grazia battesimale trasforma questa situazione d'ira e di bramosia in un vivere prudente, giusto e pio.
La prudenza implica un comportamento sapiente nelle scelte, nella parola e nel comportamento.
La giustizia è l'effetto del battesimo ed implica una rottura con la vita precedente al battesimo.
La pietà è l'abbandono di quel comportamento violento contro Dio per sottometterci a Lui e per temerlo.
In che modo si vive questo? l'apostolo lo insegna immediatamente: attendendo la beata speranza e la manifestazione del grande Dio e salvatore Gesù Cristo (v. 13). Solo questa tensione verso la manifestazione di Gesù può distaccarci dal mondo e dalle sue bramosie. Gesù è il grande Dio, il salvatore e il Cristo: il riconoscerlo tale fa parte della nostra fede battesimale.
Essere battezzati è entrare nel respiro dell'attesa ed è sollecitare questa manifestazione della gloria di Dio e il compimento della salvezza.
La redenzione è ricordata al v. 14 come dono di se stesso e come riscatto da ogni trasgressione della legge per diventare il popolo suo proprio zelante per le opere buone.
Ci si può fare due domande:
Quale relazione ha questo testo con la nostra vita cristiana e come lettura natalizia come deve essere letto.
Il nostro battesimo rimane un po' in ombra perché siamo più colpiti da quei sacramenti in cui abbiamo partecipato con consapevolezza.
Anche se fossimo stati battezzati da adulti, la nostra rigenerazione è oltre la nostra stessa percezione e si manifesta in noi più con i suoi effetti che nella sua stessa natura.
Il primo effetto del battesimo è quello di rinnegare l'empietà e le bramosie mondane. Il battesimo ci rende capaci di sottrarci da questo dominio perché trasferiti sotto la signoria del Cristo.
Mentre la Legge è diagnosi l'Evangelo è terapia.
In che modo l'Evangelo cura?
Qui s'inserisce il discorso del Natale.
Il Natale è la memoria della manifestazione visibile di Dio entro i confini della natura umana.
Il Figlio di Dio si è racchiuso entro i limiti della nostra esistenza subendo soprattutto il rapporto con la morte per distruggerla. Noi subiamo soprattutto il dominio di questa.
La nascita di Gesù è il suo entrare nella morte per distruggerla, il battesimo è il nostro ingresso nella sua morte perché la nostra morte sia distrutta.
La sua nascita è pertanto il meraviglioso scambio, che si fa sacramento nel nostro battesimo.
CANTO AL VANGELO Lc 2,10-11
R/. Alleluia, alleluia.
Vi annuncio una grande gioia:
oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore.
R/. Alleluia.
VANGELO Lc 2,1-14
Dal vangelo secondo Luca
1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
Il Censimento. Sono nominati l'imperatore e il governatore della Siria.
Per la nascita di Giovanni è nominato solo Erode, re della Giudea. Giovanni infatti è inviato solo a Israele, Gesù il Cristo anche a tutte le Genti.
Il nome di Gesù viene scritto nell'elenco degli uomini di tutta la terra perché, Figlio dell'uomo, a tutti porta la salvezza (cfr. Mt 24,14: Sarà predicato questo evangelo del regno in tutta la terra in testimonianza a tutte le genti e allora giungerà la fine).
Sul valore universale del censimento così si esprime Origene: «Era necessario che Cristo fosse censito in quel censimento universale perché, iscritto tra gli altri uomini, santificasse tutti e, menzionato nel registro del censimento con tutto il mondo offrisse la sua comunione e, dopo questo censimento, censisse insieme a sé tutti gli uomini nel Libro dei viventi (Ap 20,15) e chiunque in seguito avesse creduto in Lui venisse iscritto nei cieli».
Con tono più giuridico Ambrogio annota: «Se i consoli si registrano nei documenti di acquisto, quanto più è necessario registrare la data dell'universale riscatto! Qui hai tutti i dati che normalmente si trovano nei contratti: il nome della somma autorità, la data, il luogo, il motivo» (in Lc. n. 33).
Inoltre sono contrapposti da una parte Cesare, che qui è Augusto e dall'altra il Cristo, figlio di Davide, il Primogenito tra i re della terra (Sal 89,28). Il ceppo di Iesse ha un virgulto, l’impero romano è un albero che copre tutta la terra (cfr. Dn 4,6-9).
Questa contrapposizione ritornerà durante il processo davanti a Pilato e il popolo sarà chiamato a scegliere (cfr. Gv 19,12-16; At 17,7).
Ora Gesù appare assoggettato all'autorità romana; non solo si è assoggettato alla legge d'Israele ma anche a quella delle Genti per condurre tutti alla redenzione evangelica.
3 Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
4 Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide.
Giuseppe sale con Maria sua sposa a Betlemme per adempiere le Scritture.
L'Evangelo rivela il vero significato di questo movimento creato dall'imperatore. Nella storia degli uomini si nasconde la storia di Dio come il lievito che, nascosto nella farina, fermenta tutta la pasta (cfr. Lc 13,20s).
Betlemme. Gesù non solo nasce dalla stirpe di Davide ma nella sua stessa città. Le città acquistano la loro impronta dai personaggi che le caratterizzano (Gerusalemme città del gran Re; Ebron, città dell’amico: Abramo). Betlemme è caratterizzata da Davide, come è detto in Gv 7,42: La Scrittura dice che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide. (cfr. Mi 5,1-3). Nasce nel villaggio d'origine perché con lui tutto ricomincia in un modo nuovo per non terminare mai più: Regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine (1,33).
Infatti Egli è colui del quale il profeta, dopo aver detto la sua origine da Betlemme, aggiunge: Le sue origini dal principio, dai giorni eterni e Girolamo commenta: «L'assunzione della carne non impedisce in Lui la divina maestà; dice il Padre: “da me infatti è nato prima di tutti i secoli e colui che ha fondato i tempi non è contenuto nel tempo. Egli è colui al quale in un altro salmo ho detto: Prima della stella del mattino ti ho generato (Ps 109,3). In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo (Gv 1,1). Ecco come le sue origini sono dal principio, dai giorni eterni».
5 Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Questo appare lo scopo principale della presenza di Giuseppe con la sua sposa incinta a Betlemme. L'avvenimento che segna la pienezza dei tempi (Gal 4,4) è nascosto all'interno di un atto di amministrazione romana.
6 Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
La nascita di Gesù è a noi annunciata più con il silenzio che con la parola a differenza di quella di Giovanni il precursore. L'evangelo fa accenni rapidi ai luoghi: là, la mangiatoia, la stanza di soggiorno o l'albergo. Dopo un fugace accenno a Giuseppe ricordato con Maria (si trovavano là) tutta l'attenzione è sulla madre: dopo aver partorito il suo figlio, il primogenito, ella compie due gesti: lo avvolse in fasce e lo depose nella mangiatoia. Sembra quasi che l'evangelista metta nell'ombra tutto l'ambiente e illumini solo la madre che tutto compie da sola e infine conduca il nostro sguardo sul bimbo avvolto in fasce che giace in una mangiatoia, come subito dice l'angelo ai pastori; e questo è il segno per loro che il bimbo nato a Betlemme è il Messia (v. 12). La madre compie gesti che hanno valore di segno. Bisogna quindi leggere questi gesti alla luce del segno, cioè come gesti rivelatori di questo Bimbo nato a Betlemme.
I due gesti, che la madre compie, hanno colpito i nostri padri; infatti da nessuno fu aiutata nel parto ed ella da sola lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia. Basti per tutti la testimonianza di Girolamo che così scrive nella sua opera Contro Elvidio: «Non ci fu nessuna levatrice, non intervenne nessuna sollecitudine di donicciuole; da sola ella avvolse il bimbo nelle fasce: solo lei fu e madre e levatrice» (8).
Per cogliere il valore di segno i nostri padri hanno fatto ricorso al carattere simbolico. Nel primo gesto, quello di avvolgerlo in fasce, possiamo vedere la sua perfetta umanità, come è testimoniato (cfr. Sap 7,4; Ez 16,4). Egli è davvero uomo pur non cessando di essere Dio. Nell’inizio è già annunciata la fine: altre fasce avvolgeranno il suo corpo deposto dalla croce e come quelle della natività danno testimonianza della sua messianità così quelle del sepolcro daranno testimonianza della sua risurrezione (cfr. Gv 20,26-27).
Riguardo alla mangiatoia essa è percepita come un simbolo del nutrimento che Egli costituisce per Israele (il bue) e le Genti (l’asino) come è scritto: Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del suo padrone ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende (Is 1,3), e in Abacuc: in mezzo ai due animali tu ti manifesterai; quando gli anni saranno vicini, tu sarai conosciuto; quando sarà venuto il tempo tu apparirai (3,2 LXX).
Il Bimbo nel presepe esprime quindi la regalità messianica per un rovesciamento delle prospettive come avverrà sulla croce: nella povertà del presepe e nell’umiliazione della croce Gesù è rivelato come il Cristo. La sua povertà è quindi parte integrante del suo mistero, è (assurdamente per le categorie umane) il luogo in cui Egli si manifesta. Nella prospettiva di Dio tutto è rovesciato e per chi crede tutto appare nella sua verità e benedice Dio.
La motivazione per cui il Bimbo giace nella mangiatoia è la seguente: perché non c'era posto per loro nell'albergo o nella stanza. L’albergo, era il luogo di sosta e quindi non era un luogo conveniente per partorire. Per questo secondo la tradizione accolta fin dai primi secoli, Giuseppe e Maria scelsero una grotta appartata e l'apprestarono in modo conveniente al parto. Giustino nel Dialogo con Trifone scrive: «Poiché Giuseppe non sapeva dove alloggiare in quel villaggio, riparò in una grotta nelle vicinanze. E mentre erano là, Maria diede alla luce il Cristo e lo depose in una mangiatoia» (78,5).
Oggi si propende a tradurre il termine katàlima con stanza (22,11; 1 Sm 9,22) e «può indicare uno spazio in una casa privata destinato ad accogliere e ospitare i forestieri … La casa della piccola gente al tempo di Gesù consisteva in genere in un vano unico, nel quale si svolgeva tutta la vita (cfr. 11,7; Mt 5,15), e che spesso doveva riparare anche gli animali domestici (Ps 50,9). Per l'inevitabile confusione la sosta in un simile locale portava pericolo per la madre e per il bambino. Perciò si deve presumere che la nascita sia avvenuta fuori da questo vano, ad esempio in una stalla subito contigua o, secondo la tradizione, in una grotta nelle vicinanze, che spesso allora si usava come stalla. Qui anche la mangiatoia (fissata al muro?) trova il suo pieno significato. Essa offriva il riparo perché il bambino inerme non fosse calpestato dagli animali, o soffrisse danno per il continuo movimento» (Rengstorf). Potremmo anche supporre che la grotta fuori del villaggio appartenesse al clan davidico di Giuseppe.
Per rilevare la nascita verginale di Gesù l'evangelo dice: Il suo figlio, il primogenito. Nell’A.T. Israele è chiamato da Dio suo figlio primogenito (Es 4,22; Sir 36,11).
Gesù è figlio di Maria ed è chiamato il primogenito in rapporto al Padre suo. Così pure è chiamato il re (Sal 89,28). Questo sottolinea il particolare rapporto che lo lega a Dio.
L'Apostolo Paolo approfondisce i significati del termine primogenito riferito a Cristo.
In Rm 8,29 lo chiama il primogenito tra molti fratelli. I molti fratelli sono coloro che con la risurrezione sono trasformati nella sua immagine gloriosa di Figlio di Dio.
In Col 1,18 è chiamato primogenito dai morti. Egli è il primo risorto fra i morti ed è quindi il fondamento della speranza della nostra risurrezione.
In Col 1,15 è definito primogenito di ogni creazione, «Cristo è il mediatore della creazione, al quale tutte le cose create senza eccezione sono debitrici del loro essere» (Micaelis). Vedi inoltre Eb 1,6.
Egli si manifesta come tutti gli uomini; cfr. Sap 7,3: Anch'io appena nato ho respirato l'aria comune e sono caduto su una terra uguale per tutti, levando nel pianto, uguale a tutti, il mio primo grido. Questo pianto è l'inizio di quella oblazione sacrificale che ha caratterizzato i giorni della sua vita terrena (cfr. Eb 5,7).
Prima di proseguire sostiamo davanti al presepe con la preghiera ammirata di Ambrogio:
«Da ricco che era, sta scritto, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi della sua povertà (2 Cor 8,9). Quella indigenza è dunque la mia ricchezza, e la debolezza del Signore è la mia forza. Ha preferito per sé le privazioni, per aver da donare in abbondanza a tutti. Il pianto della sua infanzia in vagiti è un lavacro per me, quelle lacrime hanno lavato i miei peccati. O Signore Gesù sono più debitore ai tuoi oltraggi per la mia redenzione, che non alla tua potenza per la mia creazione. Sarebbe stato inutile per noi nascere, se non ci avesse giovato venire redenti».
8 C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Alcuni pastori. Gente umile e disprezzata: essi sono scelti come primi testimoni della nascita di Gesù, che in loro si rivela come il Messia dei poveri. Da loro inoltre ha pure avuto origine Davide, antenato di Gesù. Egli nasce nel loro ambiente: la grotta - stalla, la mangiatoia.
Questi pastori vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Al contrario, i pastori d'Israele dormivano e non si sono accorti della venuta del Signore pur conoscendo le Scritture. Qui a Betlemme i pastori vegliano e a Gerusalemme, nel Tempio, Anna pure veglia in digiuni e preghiere e Simeone attende la salvezza d'Israele, Gesù.
Essi divengono simbolo dei pastori della Chiesa: «I pastori vegliano perché lo stesso buon Pastore è il loro modello di vita. Pertanto il gregge è il popolo, la notte il mondo, i pastori sono i vescovi» (S. Ambrogio).
9 Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore,
Gli angeli sono presenti nella vita del Signore, sia nel Natale che nella Risurrezione, come testimonianza della presenza del Regno dei cieli in Gesù. Il loro servizio e il loro annuncio ha come oggetto il Cristo.
«Un angelo informa Maria, un angelo informa Giuseppe, un angelo i pastori. Non bastava inviarli una sola volta: davvero ogni parola si fonda su due o tre testimoni» (S. Ambrogio).
Mentre l'Angelo si presenta, la gloria del Signore li avvolge di luce. Questa luce è celeste e fa vedere le realtà celesti. Agli uomini viene partecipata quella luce inaccessibile dove Dio abita.
Essi furono presi da grande spavento, infatti la visione degli esseri celesti suscita il timore della morte in coloro che li vedono (cfr. Gdc 13,22). L’apparizione dell’angelo è improvvisa, come immediato è lo splendore della Gloria. Vi sono già le caratteristiche della manifestazione finale del Cristo assieme ai suoi angeli.
10 ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
Io vi annunzio una grande gioia: dal grande timore per la visione alla grande gioia dell'annunzio.
Vi annunzio (lett.: vi evangelizzo). Il termine evangelo, evangelizzare «è caro a Luca (1,19; 3,18; 4,18.14 ecc.; frequente in Atti) che anche lettori non ebrei comprendevano nel suo speciale significato. Allora era usato tra l'altro per la proclamazione di un sovrano.
Così l'evangelo dell'angelo, per orecchie greche, significa la proclamazione del Bambino appena nato come re d'Israele da parte di Dio stesso, cioè come Cristo Messia. Per questo la gioia annunziata vale per tutto il popolo benché dovesse venire il tempo dello scoprimento per ogni orecchio e ogni occhio» (Rengstorf).
L'Evangelo è la grande gioia: solo il suo annuncio la comunica, fuori di esso è la tenebra e la tristezza mortale.
11 oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Oggi, è l'adempimento delle promesse. Inizia l'oggi di Dio (vedi Eb 3,7-4,13) che è tempo di salvezza.
Inoltre queste parole dell'Angelo, che costituiscono l'evangelo della grande gioia, richiamano il Sal 2,7: Tu sei mio Figlio, Io oggi ti ho generato. Le parole, che il Padre rivolge al Figlio dal suo seno, prima della stella del mattino (Sal 109, 3 LXX), divengono l'Evangelo dato a tutto il popolo.
L'oggi della generazione divina entra nella storia mediante la generazione umana del Cristo.
Il Natale diventa il momento in cui il Cristo è intronizzato nella città di Davide.
Egli è il Salvatore (è il suo nome personale, Gesù, che significa: Dio salva) e ha come trono la mangiatoia. Essa preannuncia l'altro trono che lo attende, la croce.
Cristo Signore: «la formula si presenta come un condensato della confessione di fede cristiana: Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! (At 2,36)» (Rossé, o.c., p. 90).
12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Il segno: essendo segno richiede la fede.
Il Messia si manifesta umile agli umili ed essi non si stupiscono ma lo accolgono con gioia.
Il segno delle fasce e della mangiatoia manifesta il Cristo che, essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2,6ss). Alla sua nascita le fasce lo avvolgono ed è questo il segno della sua umanità.
13 E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
E subito: appena è annunciata l'umiltà del segno, per confortare la fede viene lodato Dio.
Essendosi il Verbo fatto Carne, la lode angelica è udita sulla terra.
Una moltitudine dell'esercito celeste. Quando Dio poneva le fondamenta della terra e ne fissava le basi e la pietra angolare gioivano in coro le stelle del mattino e applaudivano tutti i figli di Dio (cfr. Gb 38,7).
Quando Giacobbe tornò alla terra dei padri gli si fecero incontro gli angeli di Dio (cfr. Gn 32,2).
E di nuovo quando introduce il primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio (Eb 1,6).
14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Questo è un inno messianico che ha il suo corrispondente in 19,38: Benedetto Colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo, e gloria nel più alto dei cieli.
Un angelo ha annunciato l'Evangelo della nascita, una moltitudine dell'esercito celeste lo commenta con la lode.
Nel più alto dei cieli (lett.: Le zone altissime): esse sono il luogo della dimora divina, che è ripiena della gloria di Dio. Ad essa si contrappone la terra. Alla gloria, che si rivela là, dove Dio dimora, corrisponde sulla terra la pace. Infatti la pace è il manifestarsi della gloria sulla terra: è il secolo futuro che si rende presente nell’oggi e lo pervade della sua energia portandolo alla sua consumazione. La gloria, che è nel più alto dei cieli, è scesa sulla terra e quindi ha portato la pace agli uomini del beneplacito divino. «La gloria di Dio non consiste anzitutto nel fatto che Egli venga glorificato dagli angeli, ma nel fatto che, inviando il Messia, Dio glorifica il suo nome, manifesta cioè la sua potenza e la sua misericordia dinanzi alla sua corte celeste formata dagli angeli» (Schmid).
Quando il Messia scende sulla terra è glorificato dagli Angeli, quando sale al Padre dagli uomini (19,38).
Agli uomini che egli ama, (lett.: del beneplacito). L'acclamazione del canto angelico è l'annuncio di un evento divino. I cieli glorificano Dio per aver inviato il Cristo, la cui venuta è apportatrice di pace per gli uomini del beneplacito.
Beneplacito: atto sovrano di Dio che si compiace e fa grazia: «È la decisione misericordiosa di Dio, il quale si rivolge al popolo dei suoi eletti nella sua libera, gratuita benignità» (Schrenk).
La gloria che è nei cieli avvolge i pastori (9) e in tal modo la terra è congiunta al cielo.
Questo inno dà inizio alla redenzione; gli inni dell'Apocalisse (12,10; 11,15; 19,1-6) la contemplano già attuata.
PREGHIERA DEI FEDELI
C. Nella gioia soavemente diffusa nei nostri cuori esprimiamo con purezza di mente e d’intenzione la nostra preghiera.
Diciamo insieme:
Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, ascoltaci.
Per la Chiesa santa e cattolica, che in seno a tutti i popoli canta con gli angeli la nascita del suo Signore, perché la gioia del suo annunzio raggiunga ogni uomo e accenda in ognuno la speranza della redenzione, preghiamo.
Per i cuori spezzati dal dolore perché si rianimino di fiducia contemplando nel presepe il nostro Redentore, preghiamo.
Perché tutti i discepoli del Cristo siano pervasi nell’intimo dalla vera Luce e nell’umiltà dei segni, contemplino la gloria del loro Signore e credano con amore vivo e riconoscente nel suo Nome, preghiamo.
Perché la nostra comunità cristiana sappia annunciare, come gli angeli, ai più piccoli e agli umili la nascita del Messia, preghiamo.
Perché tutti gli uomini sappiano accogliere il Signore nascosto e presente nei bimbi di tutto il mondo, preghiamo.
Perché tutti noi, che formiamo questa assemblea santa, ci stringiamo attorno al Signore, fondamento della nostra speranza, gioia della nostra attesa, forza del nostro amare e pace nel nostro cammino, preghiamo.
C. Signore Gesù, che oggi nella tua nascita, sei venuto a condividere le nostre fatiche e le nostre speranze, rivelati a ogni uomo perché ti conosca e in te conosca il Padre e ripieno del tuo Santo Spirito esulti e si rallegri per la redenzione che tu ci doni.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.
NATALE: MESSA DELL’AURORA
PRIMA LETTURA Is 62,11-12
Dal libro del profeta Isaia
11 Ecco ciò che il Signore fa sentire
all’estremità della terra:
«Dite alla figlia di Sion:
Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Con molte parole e molti messaggi di consolazione il Signore ha voluto consolare Gerusalemme sia personalmente come pure attraverso i profeti. Ora fa percorrere questo annuncio tra tutti i popoli perché tutti lo proclamino alla figlia di Sion. Questa infatti, per aver avuto doppia punizione delle sue colpe dalla mano del Signore fatica a credere che è finito il tempo della sua ignominia e che sta per rivestirsi della gloria del suo Dio.
Questo testo profetizza la salvezza delle Genti, che giunte alla pienezza della redenzione, fanno un solo popolo di redenti con i figli d’Israele e insieme s’incamminano verso Sion.
Questa Gerusalemme, tutta preparata e bella, che apre le sue porte e fa entrare i suoi figli raccogliendoli dentro le sue mura, è la Gerusalemme celeste, dove si radunano tutti i popoli. Questo è il progetto di Dio.
12 Li chiameranno Popolo santo,
Redenti del Signore.
E tu sarai chiamata Ricercata,
Città non abbandonata».
Redenti dal Signore, saranno chiamati Popolo santo. Non sono più un popolo respinto e rifiutato, oggetto dell’ira divina, ma sono il suo popolo, in mezzo al quale Dio abita, perché li ha riscattati e li ha preparati ad entrare nella sua città, che non può più essere chiamata città abbandonata, ma il suo nome sarà Ricercata.
Gerusalemme è ricercata da coloro che cercano il Signore perché in essa risplende la gloria del Signore.
«Non è la città che cerca Dio, ma è la città, il popolo di questi santi riscattati, che è cercata da Dio. A me pare che la parola più forte in questo senso sia l'ultimissima, l'ultimo appellativo che il profeta dà a questa città di redenti, a questa nuova Gerusalemme nella quale Iddio viene con la sua retribuzione, e cioè: «Non abbandonata». Questo è ancora più radicale: non solo è stata ricercata, ma non è mai stata abbandonata.
Quindi, anche quando essa faceva di tutto per allontanarsi e separarsi dal suo Dio, egli non si separava da lei; quando essa agiva contro di lui, lui agiva in favore di lei; anche quando essa lo ripudiava, lui non le dava il libello di ripudio» G. Dossetti, omelie del tempo di Natale, p. 47).
SALMO RESPONSORIALE Sal 96
R/. Oggi la luce risplende su di noi.
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Annunciano i cieli la sua giustizia
e tutti i popoli vedono la sua gloria. R/.
Una luce è spuntata per il giusto,
una gioia per i retti di cuore.
Gioite, giusti, nel Signore,
della sua santità celebrate il ricordo. R/.
SECONDA LETTURA Tt 3,4-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito
Figlio mio,
4 quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro,
e il suo amore per gli uomini,
In questo inno vi un'attribuzione del titolo di salvatore sia a Dio che a Gesù Cristo.
Dio è salvatore manifestando la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Egli va oltre la sua stessa giustizia, che lo porterebbe a condannarci e si manifesta con segni di bontà e di amore verso di noi perché Egli vuole tutti salvi e non vuole che alcuno perisca (cfr. 1Tm 2,4).
5 egli ci ha salvati,
non per opere giuste da noi compiute,
ma per la sua misericordia,
con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo,
Per salvarci Dio non si è basato sulle eventuali opere di giustizia da noi fatte ma ci ha salvati secondo la sua misericordia mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo.
Il lavacro della rigenerazione e la costante azione di rinnovamento costituiscono la nostra salvezza.
«Per ciascuno di noi c'è qualcosa di simmetrico a quello che è per tutti l'incarnazione: cioè il nostro lavacro di palingenesi e di rinnovamento nello Spirito Santo. Come l'iniziativa di Dio, rispetto a tutto il mondo, sta nell'incarnazione, così l'iniziativa di Dio rispetto a ciascuno di noi sta nel battesimo, il lavacro che ci rigenera. (…)
È nel battesimo che Iddio ci attira, che opera la nostra nuova generazione, senza rapporto con quello che noi possiamo avere fatto prima nella generazione secondo la carne» (G. Dossetti, o.c., p. 48).
6 che Dio ha effuso su di noi in abbondanza
per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,
Questa abbondante effusione dello Spirito non può passare inosservata, deve essere da noi recepita e sentita.
È necessario tuttavia precisare dove lo Spirito è accolto in noi ed è accolto precisamente dal nostro spirito.
7 affinché, giustificati per la sua grazia,
diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.
Afferrati dalla sua grazia, noi non sentiamo più la tensione tra quello che dobbiamo fare e quello che possiamo perché il nostro operare è credere in Gesù (cfr. Gv 6,29: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato»).
Ora la fede è la stessa energia dello Spirito Santo riversata in noi abbondantemente.
«Se, invece, ci sentiamo esuberantemente lavati, rigenerati dallo Spirito Santo e travolti da questo fiume, non abbiamo più da fare opere, perché, quando una piena ci prende, ci porta; e noi non abbiamo altro che da lasciarci prendere dalla corrente di questo fiume di Spirito Santo» (G. Dossetti, o.c., p. 49).
CANTO AL VANGELO
R/. Alleluia, alleluia.
Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama.
R/. Alleluia.
VANGELO Lc 2,15-20
Dal vangelo secondo Luca
15 Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Questo avvenimento (lett.: Questa parola) che il Signore ci fatto conoscere. La Parola di Dio infatti, nel momento in cui si rivela, diviene evento perché realizza quello che annuncia.
Il termine parola ha nella sacra Scrittura un significato più ricco che nel nostro modo di pensare. Essa è forza creatrice e rivelatrice. In questo contesto essa rivela l’evento che è accaduto e nello stesso tempo l’evento stesso può chiamarsi Parola. È infatti suscitato dalla Parola di Dio. Non vi è fatto che non abbia come origine la Parola e non sia da essa determinato lungo il suo manifestarsi. «I pastori si affrettano per vedere la Parola. Effettivamente vedendo la carne del Signore, si vede la Parola, cioè il Figlio» (S. Ambrogio).
16 Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Senza indugio. Dopo aver accolto la parola non indugiano e quindi trovano il Cristo come avviene pure ai Magi. Se l'attesa di Lui è stata lunga, sofferta e paziente, non più così deve essere la ricerca quando Egli viene.
17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
18 Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19 Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Riferirono, fecero conoscere. L'Evangelo si dilata e viene in tal modo trasmesso Tutta la pericope è incentrata sull'annuncio dell'Evangelo, della grande gioia che scaturisce dalla nascita regale del Cristo.
L'Evangelo, trasmesso dagli angeli, è accolto dai pastori e da loro annunciato davanti al Bimbo. In tutti provoca stupore (18) e infine termina nel cuore di Maria dove trova il suo riposo, infatti Maria da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore (19). Maria diviene il modello di come vada accolto l'Evangelo. Meditando tutte queste cose, le metteva a confronto le une con le altre e sentiva in esse l'adempimento delle parole profetiche. In tal modo Maria è beata perché ha creduto e perché medita la Legge del Signore giorno e notte (cfr. Sal 1,2). In questo diviene modello di ogni discepolo nell’accogliere la Parola di Dio, meditarla e metterla in pratica.
20 I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
I pastori poi se ne tornarono al loro gregge. La fede nel Messia conosciuto non li toglie dal loro lavoro, ma li impegna a conservarla e a testimoniarla dove si trovano.
Glorificando e lodando Dio come avevano imparato dagli angeli.
Nota
«Che piccola cosa sono andati a vedere i pastori! Quando sono andati, gli angeli erano già scomparsi, ma hanno obbedito: sono corsi prontamente, indotti ormai a cercare non un bel bambino avvolto in fasce regali in un palazzo di re, dunque non in un grande evento esteriore della storia, ma piuttosto in un evento piccolissimo, un bambino in una mangiatoia, in una piccolissima e quasi stolta dimora.
Perciò è chiaro che per avere la luce nel cuore bisogna cercarla non nelle cose grandi, ma nelle piccole, non nelle sapienti, ma nelle stolte. Allora il cuore si illumina. Se la cerchiamo in diversa maniera, si illumina, al più, solo la mente, ma non si illumina il cuore, non c'è quella luce interiore che è il grande sbocco della gioia. L'illuminazione della mente può talvolta soddisfare, può dare una certa percezione di un principio di letizia, ma non è ancora la gioia vera e autentica; non basta, lascia sempre insoddisfatti. Invece la gioia piena, la gioia che placa, la gioia veramente messianica, che deriva dall'illuminazione del cuore, consegna alla lotta e alla ricerca» (G. Dossetti, o.c., p. 232).
NATALE: MESSA DEL GIORNO
PRIMA LETTURA Is 52,7-10
Dal libro del profeta Isaia
7 Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
I messaggeri corrono veloci da Babilonia a Gerusalemme per annunciare l’avvenuta liberazione del popolo, che sta per ritornare e ripopolare la città santa.
Egli l’annuncia dicendo a Sion: «Regna il tuo Dio». La regalità di Dio si è manifestata nella salvezza attuata per il suo popolo.
Il Signore riprende possesso di Gerusalemme soprattutto con la ricostruzione del suo Tempio.
8 Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
All’annuncio del messaggero corrisponde la voce delle sentinelle, che dall’alto delle mura alzano la voce, e prese da una gioia incontenibile si abbracciano le une le altre e insieme esultano perch>è scrutando l’orizzonte vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion.
9 Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Gerusalemme, che era stata abbandonata, ora gioisce anche nelle sue rovine perché cesseranno di essere tali perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme.
La redenzione è restaurazione di quanto ora è rovinato a causa della presenza della morte e del suuo autore il diavolo.
Il primo ad essere restaurato sarà l’uomo e in lui tutta la creazione si trasformerà in nuovi cieli e in terra nuova.
Vi è un profondo respiro di vita, che avvolge tutte le creature e che le fa esultare e prorompere in canti di gioia perché il Redentore è già in mezzo a noi e in Lui il Signore ha radunato il suo popolo.
10Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
La salvezza è avvenuta con l’intervento del Signore, che ha snudato il suo braccio santo. Egli lo ha snudato in Cristo nel momento della sua crocifissione e proprio nella sua debolezza ha mostrato la sua forza redentrice. In questo modo forza e mitezza si coniugano insieme. Il braccio denudato sulla croce è lo stesso che stringe gli agnellini sul petto.
Dio si fa visibile in Gesù e la sua opera è vista da tutte le nazioni sino ai confini della terra.
SALMO RESPONSORIALE Sal 97
R/. Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. R/.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele. R/.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! R/.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore. R/.
SECONDA LETTURA Eb 1,1-6
Dalla lettera agli Ebrei
1 Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2 ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Le generazioni passate ascoltarono la Parola di Dio tramite i padri e i profeti. Essi quindi ricevettero una parola, che, pur essendo di Dio, si rifletteva nella debolezza e povertà sia di coloro ai quali Dio parlava e dei suoi destinatari.
Ultimamente, in questi giorni , che sono gli ultimi ((cfr. 2Pt 3,1-3; Gd 18; 1Gv 2,18).
Gesù l’ultimo Adamo, appare in mezzo a noi come l’ultimo, che si contrappone al primo Adamo. Pertanto vuol essere primo chi porta in sé l’immagine del primo Adamo ed è ultimo che i porta l’immagine del Cristo, come è scritto: Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente, l’ultimo Adamo spirito vivificante (1Cor 15,45).
A noi Dio ha parlato per mezzo del Figlio. Bastino alcuni testi dell’evangelo secondo Giovanni:
7,17: Chi vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso.
8,28: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo».
12,48-50: Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me.
Che ha stabilito erede di tutte le cose. Egli è l’erede di tutte le Genti (cfr. Sal 2); in Lui si attua la promessa fatta ad Abramo e alla sua stirpe di essere erede del mondo (cfr. Rm 4,13). Egli è l’erede unico (cfr. Mt 21,38 e p.).
Con lui anche noi siamo eredi (cfr. Rm 8,17).
e mediante il quale ha fatto anche il mondo (lett.: i secoli). Come dice più avanti: mediante la fede comprendiamo che i mondi (secoli) sono stati disposti da una parola di Dio, cosicché dall’invisibile ha avuto origine il visibile (11,3). Per bocca di Paolo dice: secondo il disegno eterno(lett.: dei secoli) che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore (Ef 3,11). I secoli , cioè le varie ere, sono definite nel disegno del Padre in relazione al mistero nascosto da secoli in Dio. La manifestazione di questo disegno, che avviene con la rivelazione di Gesù Cristo, è il segno che siamo alla fine di queste ere. Così c’insegna l’apostolo: Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi (lett.: dei secoli) (1Cor 10,11).
3 Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli,
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza. Vi è qui un riferimento a Sap 7,25-26: La sapienza è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa s'infiltra. È un riflesso della luce perenne,
uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà. L’irradiazione della gloria del Figlio ora è il suo Evangelo: E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio (2Cor 4,3-4).
e tutto sostiene con la sua parola potente. Egli porta tutto in forza della sua parola, che è potente perché operante nello Spirito Santo. Ogni creatura riconosce in Lui il principio vitale che la anima e da Lui riceve incessantemente il suo essere e la dinamica del suo esistere fino a raggiungere la perfezione che le è propria.
Perché tutto questo avvenga Egli ha compiuto la purificazione dei peccati. Infatti quello che toglie vita alla creazione e la immette nella circolarità della morte è il peccato. Egli lo purifica nel suo sacrificio in cui riporta tutte le creature alla pienezza della loro natura.
4 divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
La superiorità del Figlio in relazione agli angeli si esprime nella nuova economia, che è superiore a quella della Legge, promulgata per mezzo degli angeli (2,2).
La superiorità agli angeli consiste nel Nome. Esso è più eccellente, come più eccellente è il ministero, in quanto Egli è mediatore di una alleanza migliore basata su migliori promesse.
5 Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»?
Il sal 2 citato al v. 7 e che è ripreso più volte nella Lettera, sta alla base della sua figliolanza divina.
In quanto Figlio, la parola del giuramento lo costituisce sommo sacerdote in eterno (7,28) e lo rivela Figlio di Dio sia al Giordano (cfr. Mt 3,17) e nella Trasfigurazione (cfr. 2Pt 1,17).
Paolo applica questo versetto alla risurrezione di Gesù (cfr. At 13,32-33).
A Gesù si riferisce pure la parola rivolta al re davidico contenuta nella promessa di 2Sm 7.
6 Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Gli evangeli danno testimonianza dell’adorazione degli Angeli e del loro servizio al Cristo.
CANTO AL VANGELO
R/. Alleluia, alleluia.
Un giorno santo è spuntato per noi:
venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra.
R/. Alleluia.
VANGELO Gv 1,1-18 [forma breve 1,1-5.9-14]
Dal vangelo secondo Giovanni
[In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
In principio era il Verbo. In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1,1). Creò nel suo Verbo. Creando lo manifestò. Lo rivelò come Colui che in principio era, che non ha principio di giorni né fine di vita (Eb 7,3): non è misurabile dal tempo e non è contenuto nello spazio. Egli è il principio della creazione di Dio (Ap 3,14), Egli è l'alfa e l’omega, il principio e la fine (ivi, 21,6). Egli appare separato dalla creazione perché in principio era il Verbo.
Il Verbo, la Parola. Così è chiamato il Figlio di Dio nel suo essere rivelato dal Padre. Egli è chiamato il Verbo della vita (1 Gv 1,1) e il Verbo di Dio (Ap 19,13). Egli è la Parola che appartiene a Dio e ha in sé la vita. Giovanni lo contempla nel suo pieno rivelarsi: Il Verbo si fa Carne. Da questa rivelazione risale al suo rivelarsi nel principio della creazione. Dio non si rivela in altro modo se non in Lui. Egli non è attributo di Dio o un'espressione della sua potenza; è Lui, Gesù, distinto dal Padre e Uno con Lui (10,30). Infatti il Verbo era presso Dio. Presso o con, indica relazione. Quando la creazione iniziò, il Verbo era presso Dio. Colui che abbiamo conosciuto come vero uomo, era presso Dio. Giunta la sua ora, egli così prega: «E ora glorificami tu, Padre, presso di te, con la gloria che avevo, prima che il mondo fosse, presso di te» (17,5). Perché non appaia che il Verbo nella sua relazione con il Padre sia creatura, anche la più sublime, subito aggiunge: E il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
L'evangelista fa una sintesi di quanto ha precedentemente detto. Costui, il Verbo, era, da sempre, in principio, al momento del suo manifestarsi nella creazione, presso Dio. A questo vertice della contemplazione era pure rapito il Salmista quando cantava al Cristo le parole paterne dell’ineffabile generazione: Con te è il principio nel giorno della tua potenza tra gli splendori dei tuoi santi; dal seno prima della stella del mattino ti ho generato (Sal 109,3 LXX). L'Evangelo ha la sua origine in Dio, là dove il Verbo è presso Dio.
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
Tutte le cose, sia quelle visibili che quelle invisibili, quelle nei cieli e quelle sulla terra (cfr. Col 1,16). Nel contemplare il Figlio, l'autore sacro così si esprime: in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo (Eb 1,2). Benché il saggio affermi che tutte le cose sono vanità (Qo 1,1), tuttavia dobbiamo affermare che tutte le cose per mezzo di Lui furono fatte. La vanità è il velo di morte che il peccato ha steso su tutta la creazione e che solo il Cristo può togliere, come è detto in Is 25,7: Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti.
Per mezzo di Lui, cioè del suo Verbo. L'Evangelista contempla l'opera della Redenzione che il Padre ha operato per mezzo del suo Cristo, il suo Verbo e per analogia risale al principio della creazione. Come Egli è il Verbo che, mediante la sua Carne, ha operato la Redenzione, così Egli è il Verbo che, vibrato dal Padre, in principio ha dato origine a tutte le cose. Attraverso di Lui il Padre ha dato vita a tutto come attraverso di Lui ha ricuperato ciò che era perduto. Egli può redimere perché ha creato.
Rafforza quanto ha detto con una frase negativa: e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. Senza di Lui, cioè fuori di Lui: nessuna creatura può dichiarare di aver origine senza il Verbo. Allo stesso modo nessuno può essere salvo senza di Lui. Nessuno può affermare di esistere senza di Lui: «L'Evangelista lo afferma per insegnare che tutte le cose permangono nell'essere mediante il Verbo e nel Verbo, secondo l'espressione paolina: Tutto sostiene con la potenza del suo Verbo (Eb 1,13)» (S. Tommaso). Egli stesso dice: «Senza di me non potete fare nulla» (15,5). Come siamo continuamente creati per mezzo di Lui così siamo continuamente redenti per mezzo di Lui, cioè siamo graziati. Ricevere grazia significa essere chiamati incessantemente all'esistenza non solo quella secondo natura ma anche secondo l'essere figli di Dio.
L'immutabile volontà del Padre, che fa essere tutte le cose mediante il suo Verbo, fa sì che tutte siano stabilmente costituite nell'essere al punto da ritenere questo una proprietà della natura anziché un dono della sua grazia.
Tuttavia ogni uomo, che riesce a vedere in se stesso il suo pensiero libero dalle passioni, può contemplare in sé il riflesso del Verbo divino, perché la sua mente tende a cercare Colui che la illumina.
Allo stesso modo nel suo corpo egli non tende alla morte ma alla vita e all’immortalità.
Questo perché in ogni uomo il Verbo ha posto le sue “ragioni” cioè le energie benefiche e ristoratrici che riconducono l’uomo alla sua origine.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
La tradizione ci ha trasmesso due letture.
La prima così legge: ciò che esiste in Lui era vita. Questa è la lettura che segue anche Agostino che così la spiega: «la sapienza di Dio, per mezzo della quale tutte le cose sono state fatte, contiene l'idea di tutte le cose prima ancora che esse siano fatte; da ciò deriva che quanto è stato fatto, è vita in lui» (I, 17). Tommaso così commenta Agostino: «In Dio l'intendere è anche la sua vita e la sua essenza, perciò tutto quello che si trova in Dio, non soltanto vive, ma è la sua stessa vita, perché tutto ciò che è in lui è la sua essenza. In Dio quindi la creatura è l'essenza creatrice. Perciò se si considerano le cose come esistono nel Verbo, esse sono vita» (91).
La seconda lettura dà inizio alla frase così: In Lui era la vita. Nel Verbo, per mezzo del quale tutto ha avuto origine, era la vita, come egli stesso dice: «Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso» (5,26). Egli è il Verbo della vita (1 Gv 1,2). La vita, che è in lui, è la vita stessa di Dio, che a noi è data, come è detto nella 1 Gv: E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio (5,11). L'Evangelo non ci fa più volgere lo sguardo al Paradiso di Eden nel quale era l'albero della vita (cfr. Gn 3,9), ma ci fa vedere il Verbo nel quale era la vita.
E la vita era la luce degli uomini. Come la luce fu creata all'inizio, come segno della vita e della gioia (Gn 1,9), così ora per gli uomini risplende il Verbo come luce che dà la vita. In che modo il Verbo risplende tra gli uomini? In Gesù che dice: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12). La vita si manifesta come luce per gli uomini per condurli a partecipare di se stesso. Gli uomini ascoltando il Verbo, che si è fatto Carne, vedono la luce. Le loro menti sono illuminate dalla conoscenza della verità. Credendo hanno la vita.
Il cammino della fede è quindi la restaurazione delle facoltà naturali dell’uomo, che finalmente libere da inganno e da inclinazione al male, per la forza inerente del peccato, possono rivolgersi a Colui dal quale provengono e nel quale hanno la loro connaturale abitazione.
Noi contempliamo nel Verbo il disegno originante la creazione per poi vedere in Gesù, il Verbo fatto Carne, la sua restaurazione, soprattutto nei confronti di noi uomini.
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.]
La luce splende nelle tenebre. All'inizio Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre (Gn 1,4). Dicendo che la luce splende nelle tenebre afferma che il Verbo di Dio, in quanto luce degli uomini, risplende in mezzo a noi che giacevamo nelle tenebre e nell'ombra di morte (cfr. Is 1,9). Come la luce è separata dalle tenebre, così egli è separato dai peccatori (cfr. Eb 7,26), tuttavia Egli risplende nelle tenebre. La luce naturale, al suo comparire dissipa le tenebre, il Verbo risplende nelle tenebre. Questo tempo è ancora caratterizzato dal fatto che la luce coesiste con le tenebre. Gli uomini infatti se vogliono la luce devono accoglierla, come è detto più avanti: E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (3,19-21). Essi devono aprire gli occhi interiori per cogliere la luce del Verbo che già risplende.
Risplende la luce nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta. Con questa traduzione si rivela il rifiuto che le tenebre fanno della luce. Nel verbo tuttavia si può cogliere anche il significato di “afferrare, vincere”. Le tenebre non possono afferrare e vincere le luce, cioè rivendicare in essa qualcosa di proprio perché Dio è luce e tenebra alcuna in Lui non c'è (1 Gv 1,5). Infatti egli dichiara che il principe di questo mondo non ha nessun potere su di Lui (14,30).
Venne (lett.: Ci fu) un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Ci fu un uomo. Il Verbo era, costui fu fatto: era una creatura. Anch'egli fu fatto per mezzo del Verbo. Quando fu concepito nel seno materno, egli ricevette la sua missione. Questo accadde al profeta Geremia (Ger 1,5) e all'Apostolo Paolo (Gal 1,15); questo accade a ogni uomo plasmato a immagine e somiglianza di Dio. Cosa significa infatti essere immagine e somiglianza di Dio se non riflettere nella propria creaturalità un raggio dell'infinita bellezza e santità di Dio? Questo proprio che ciascun uomo ha in rapporto all'unico Dio è la sua missione.
Fu mandato da Dio. Costui dice di sé: «Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua» (1,33) e altrove dice: «Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a Lui» (3,28). Egli ha coscienza che Dio lo ha inviato. Il Verbo, che lo ha plasmato, è la luce che lo illumina e gli comunica la vita perché egli sia testimone.
Nell'Evangelo di Luca si dice che la parola di Dio fu su Giovanni, figlio di Zaccaria nel deserto (3,2). Il Verbo di Dio, come fu nei profeti, fu pure su Giovanni e si rivelò a lui come già presente in mezzo al suo popolo. Mentre i profeti precedenti cercavano di indagare a quale momento o a quale circostanza accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle (1 Pt 1,11), Giovanni è inviato perché la luce già risplende nelle tenebre.
Non a caso l'evangelo dà molto risalto al nome: e il suo nome era Giovanni. Questo nome è stato scelto da Dio (Lc 1,13). «L'Evangelista conferma tutto questo mediante il verbo che usa: dice infatti era, appunto perché si riferisce alla predisposizione divina» (Tommaso). Nel nome poi è rivelata la missione: “Dio fa grazia”; preannuncia l'Evangelo che sta per essere annunciato. È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (Tt 2,11).
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Costui venne per la testimonianza. Poiché era profeta, dette testimonianza a quello che aveva udito e visto. Infatti la testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia (Ap 19,10). Essendo un vero profeta rese testimonianza alla luce, dichiarò che Gesù era la luce. Udì la voce del Padre, vide scendere e rimanere sul Cristo lo Spirito, udì la voce dello Sposo e dichiarò di essere amico dello Sposo. Avendo in sé lo Spirito della profezia, Giovanni fu illuminato dalla luce e riconobbe in Gesù quella luce che lo illuminava, e come vedendola per primo, non più in modo debole ma chiaro, dichiarò a tutti chi era la luce. L'interiore illuminazione, di cui Giovanni godette, testimoniava che la luce era sorta e già risplendeva nelle tenebre. È scritto: La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici (Sal 119,139). Non solo in virtù dello Spirito di profezia ma anche con la propria vita Giovanni dette testimonianza alla luce. Illuminato dal Verbo che si rivelava come la vera luce, Giovanni lo accolse in sé perché in lui non c'erano le tenebre. Gli uomini poi, vedendo la santità della sua vita e ascoltando la testimonianza della sua parola, avrebbero dovuto credere per mezzo di lui. Giovanni, essendo una lampada che arde e risplende (5,35), doveva preparare gradatamente gli uomini ad accogliere la luce vera. Gli occhi, che sono abituati alle tenebre, non possono cogliere l'improvviso apparire della luce, benché questa si sia presentata agli uomini già adombrata dalla nube della carne.
In lui la Parola si manifesta con tale efficacia da volersi rallegrare alla sua luce (cfr. 5,35). Per questo aggiunge subito:
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Egli non era la luce. Per quanto sublime sia la profezia, essa è pur sempre testimonianza e bisogna sempre saper cogliere all'interno della parola profetica la luce stessa. Mosé e i Profeti non sono la luce ma rendono testimonianza alla luce che risplende nella loro stessa parola perché questa è Parola di Dio. L'unica Parola risplende nella Legge e nei Profeti. Avendo conosciuto il Cristo, abbiamo visto la Luce; noi sappiamo che la Legge e i Profeti non sono la luce ma in loro la luce si rivela in virtù della conoscenza evangelica. Perciò Giovanni e tutti i profeti danno testimonianza alla luce.
[Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
La vera luce. Dopo aver affermato che Giovanni non era la luce, ora dichiara ancora chi sia la luce, quella che finora risplendeva solo nella creazione, nella Legge, nei profeti di cui il più grande è Giovanni il Battista. La novità ora consiste in questo che la luce ha iniziato a risplendere in se stessa non più mediata dalle creature: per questo la chiama vera.
Gesù afferma: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita» (8,12). Egli illumina ogni uomo perché è la luce del mondo. Ogni uomo è illuminato da Cristo, la vera luce, ma è libero di accettare o rifiutare la luce, come dice altrove: gli uomini hanno amato le tenebre più della luce (3,19). Per essere non solo colpiti dalla luce, ma illuminati, Gesù ci comanda di seguirlo. La sequela si esprime nel comando nuovo in virtù del quale le tenebre se ne vanno e la luce vera già risplende (cfr. 1 Gv 2,8). La luce vera ora illumina ogni uomo attraverso l'annuncio evangelico e l'amore fraterno dei discepoli di Gesù.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Il Verbo era nel mondo, «c'era in quanto Dio, vi è venuto in quanto uomo» (Agostino). In principio il Verbo era presso Dio ed era nel mondo. Era presso Dio perché Dio ed era nel mondo perché l'uomo fu fatto a sua immagine e somiglianza. Ora dov'è l'immagine ivi è pure l'archetipo: dov'è l'uomo ivi è pure il Verbo di Dio. Questi era dunque presente nel mondo attraverso l'uomo.
Il mondo fu fatto per mezzo di lui. Come un'opera porta impressa in sé l'impronta del suo artefice, così l'uomo e con lui tutte le creature riflettono in se stessi la sua immagine. Ma, mentre l'artefice si distacca dalla sua opera, il Verbo non si allontana dalle sue creature perché queste non possono esistere senza di Lui. «È con la presenza della sua maestà che crea ciò che fa; è la sua presenza che governa ciò che ha fatto» (Agostino). Soprattutto è presente in noi uomini che possiamo conoscerlo e deliziarci della sua presenza ma, constata amaramente l'evangelista, il mondo non lo conobbe. Poiché la porta del mondo è l'uomo e questi si è lasciato dominare da ciò che è nel mondo, il Verbo è stato rifiutato nella sua stessa casa. Preferendo la conoscenza delle cose mondane alla conoscenza del Verbo, gli uomini hanno come trascinato in questo rifiuto la stessa creazione che, a causa del peccato dell'uomo, è stata assoggettata alla vanità (Rm 8,20).
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
Il Verbo venne nella sua proprietà, Israele, come Egli stesso dice: «Io sono venuto nel nome del Padre mio e non mi accogliete» (5,43).
Israele è la sua proprietà, come è detto nel Siracide: «Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine, il mio creatore mi fece posare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele» (24,8).
Ma i suoi non l'hanno accolto, come dice Stefano alla conclusione del suo discorso: «O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata» (At 7,51-53). Egli è stato rifiutato prima in Mosè e nei profeti e poi in se stesso.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
A quanti però l'hanno accolto, sia tra quelli che erano nel mondo sia tra i suoi che erano nella sua proprietà, ha dato potere di diventare figli di Dio. Quelli che lo hanno accolto non sono solo coloro che vivono nella pienezza dei tempi, ma sono anche coloro che sono vissuti nelle generazioni precedenti e lo hanno accolto con fede nel suo rivelarsi nelle promesse, nelle figure della Legge, nei misteri delle profezie e negli enigmi dei saggi.
A quanti lo hanno accolto, in tutte le generazioni, ha dato potere di diventare figli di Dio, quando si è fatto Figlio dell'uomo. Nelle precedenti generazioni hanno ricevuto la promessa di essere figli e quindi eredi, ora hanno ricevuto il potere di diventarlo.
Nella parola potere si esprime sia la grazia del diventare figli come pure la libertà di scelta, come afferma Agostino: «Diciamo che esiste questo potere quando alla volontà è unita la facoltà di fare. Per cui si dice che ha potere colui che, se vuole, fa e, se non vuole, non fa» (De Spiritu et litera, cap. 31). Ci è dato il potere di diventare per la presenza del Figlio di Dio che a noi si rivela nel suo Evangelo. Diventano infatti figli coloro che credono nel suo nome. Non c'è fede senza evangelo, non c'è evangelo senza annuncio e non c'è annunzio senza rivelazione. Coloro che credono nel suo nome, che si rivela nell'annuncio evangelico, diventano figli di Dio. Essendo il suo nome oggetto della fede, vuol dire che è il nome stesso di Dio. Accogliere Gesù significa credere che in Lui si rivela il Nome come suo Nome personale.
A coloro che hanno creduto al suo Nome, il Verbo ha dato il potere di diventare figli di Dio, cioè di essere in una tale comunione con Lui da diventare in Lui, il Figlio, essi pure figli. La fede quindi è l'incessante passaggio dal non essere all'essere in forza della comunione con Gesù. Passare dal non essere all'essere significa diventare figli di Dio. Noi uomini non possiamo essere se non essere figli nel Figlio di Dio. Fuori di Lui non siamo.
La generazione dei figli di Dio non è da sangue, letteralmente vi è il plurale: i sangui: esso può indicare sia il sangue del padre che quello della madre che, fondendosi, generano una nuova vita (cfr. Sap 7,1-2). Quanto al plurale, esso si trova ancora in Gn 4,10: i sangui di tuo fratello e Sanhedrin (4,5) commenta: «il suo sangue e il sangue della sua discendenza». Dopo aver escluso il sangue dalla generazione, l'evangelista esclude ora il volere della carne. È molto avvincente la lettura di S. Agostino che interpreta carne come donna. Dice infatti: «la donna qui è chiamata carne; perché ecco cosa disse Adamo, non appena la donna fu fatta con una sua costola: “Questa volta è carne dalla mia carne, è osso dalle mie ossa” (Gn 2,23). E l'Apostolo a sua volta: chi ama la donna sua, se stesso ama. E nessuno ebbe mai in odio la propria carne (Ef 5,28-29)». Altri preferiscono interpretare carne come «la sfera del naturale, dell'impotente, del superficiale, contrapposto a spirito, che è la sfera del celeste del reale (3, 6; 6, 63; 8, 15)» (Brown). La generazione dei figli di Dio non avviene pertanto dal grembo materno, come si domandava stupito Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (3,4) e nemmeno ha il suo inizio nel desiderio, insito nella natura umana, che porta a generare. Essa quindi non è da volere di uomo. I figli di Dio, in quanto tali, non hanno un padre terreno, dal cui volere abbiano avuto origine.
Dopo aver escluso ogni apporto generativo della natura umana, ora afferma che da Dio sono stati generati.
Non l'uomo ma Dio è il principio di questa generazione. Essa avviene da Dio in virtù della Carne del Verbo. Ha come segno sacramentale l'acqua e come potenza generante lo Spirito (3,5: da acqua e da Spirito). Questa ineffabile generazione fa parte del disegno di Dio, dice infatti l'Apostolo Giacomo: Di sua volontà egli li ha generati con una parola di verità (1,18). Questo è il seme immortale, è la parola del Vangelo che ci è stata annunziato (cfr. 1 Pt 1,23-25). Noi siamo quindi incessantemente generati da Dio nell'annuncio; il battesimo ci fa essere figli perché ci rapporta alla parola evangelica: è questa infatti la forza generante di Dio. È nell'evangelo che si rivela la potenza di Dio (Rm 1,16).
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
E il Verbo divenne carne. Il Verbo, che era in principio, divenne ciò che non era: carne. Egli si manifestò nella carne (1 Tm 3,16). Quando il Verbo di Dio apparve tra noi, si manifestò come uomo, nel corpo della sua carne (cfr. Col 1,22) e quindi soggetto alla morte. Infatti Dio mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato (cfr. Rm 8,3).
E si attendò tra noi. Il Verbo fissò la tenda della sua carne tra noi uomini. La carne, che egli ha assunto, è la Tenda della divina presenza, il Tempio di Dio, come è detto in seguito: Egli parlava del Tempio del suo corpo (2, 21). Anche nella lettera agli Ebrei si parla di questa tenda e del velo, cioè della sua carne (10, 20). Attraverso le stimmate della sua morte in Croce, Cristo ha inaugurato la via nuova e vivente che noi possiamo percorrere per giungere a Dio. In Lui il Tempio è diventato a tutti accessibile.
In Lui, nel Cristo, noi contempliamo il Verbo non come uno da Lui diverso, perché Lui, Gesù di Nazareth, è il Verbo, il Figlio di Dio. S. Tommaso riassume l'insegnamento dei Padri che nel verbo abitare hanno colto la distinzione delle due nature e l'unica divina persona del Figlio: «Guardando alla natura, troviamo in Cristo la distinzione di due nature; se invece consideriamo la persona, troviamo che essa è una sola, identica nelle due nature; perché in Cristo la natura umana fu assunta nell'unità della persona. Quindi quando i santi parlano d’inabitazione, dobbiamo riferire questo termine alla natura, di cui si può dire che abitò tra noi; ma non si può riferire all'ipostasi, o persona, essendo questa identica per le due nature» (175).
E abbiamo visto la sua gloria, come lo stesso Giovanni afferma nella prima lettera: ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato (1 Gv 1,1). Poiché il Verbo si è fatto Carne, gli Apostoli non solo hanno visto la sua umiliazione ma anche la sua gloria.
La gloria, che Egli ha manifestato nei segni e nelle parole, esige ancora la fede. È necessario che gli occhi interiori siano illuminati perché possano vedere la sua gloria. Non tutti quelli che videro il Signore, videro la sua gloria, ma solo coloro che, nel vedere i segni che compiva e nell'udire le sue parole, credettero in Lui. Allo stesso modo anche oggi non tutti quelli che odono la sua Parola e ne contemplano i segni sacramentali possono vedere la sua gloria, ma solo coloro che, credendo, sono illuminati dallo Spirito Santo.
Gloria come di Unigenito dal Padre, la gloria del Cristo è quella dell'Unigenito dal Padre. «La particella come, secondo S. Gregorio (Moral.,1. 18, c. 6), vuol essere qui assertiva; e secondo il Crisostomo (In Jo., hom. 12, 1) ha significato modale» (S. Tommaso, 185). «La sua gloria, non è come quella degli angeli, o di Mosè, o di Elia, o di Eliseo o di qualsiasi altro, bensì come quella dell'Unigenito; perché come dice l'apostolo agli Ebrei (3,3): Egli è stato reputato degno di una gloria tanto maggiore in confronto di Mosé. E il salmista proclama: Chi è simile a Dio tra i figli di Dio? (Sal 88,7)» (id., 184).
La sua gloria non è tanto paragonabile a quella dell'unigenito ma è proprio quella che in Lui si rivela e lo rivela tale. «La particella come afferma che egli è veramente l'Unigenito di Dio oppure designa l'adeguato rapporto tra la persona dell'Unigenito Figlio di Dio e la gloria che gli conviene» (Natalis Alexander).
Il Verbo rivela la sua gloria come grazia e verità; Egli, divenendo Carne, si presenta a noi come Dio pieno di grazia e di verità. Egli non ha trovato grazia come è detto dei giusti, ma è pieno di grazia perché è l'Unigenito, infatti in Lui il Padre si compiace. Ed è pieno di verità «in quanto attuò le figure dell'Antico Testamento e le promesse fatte ai patriarchi. Lo ricorda S. Paolo: Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri (Rm 15,8); e in 2 Cor 1,20: Tutte le promesse di Dio hanno trovato in lui il loro sì» (S. Tommaso, 190). Nelle parole grazia e verità rivela la sua missione e nell'aggettivo pieno il suo rapporto con il Padre e come Egli sia il compimento di tutto.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Giovanni grida. perché così è scritto di lui e questo afferma di se stesso: «Io sono voce di colui che grida nel deserto» (1,23). «Il termine gridare indica che lo faceva liberamente, senza paura. Isaia infatti esclama: Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio! (40,9)... E in Isaia si legge, che i serafini gridavano l'uno all'altro (6,3), per esprimere così il fervore più intimo dello spirito» (S. Tommaso). Dopo il lungo silenzio della profezia è bastata questa iniziale rivelazione del Verbo divenuto Carne per fare gridare Giovanni. La sentinella, posta di vedetta, lo vede arrivare e dice: Chi è costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso? Costui, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza? (Is 63,1). Lo vede, dà testimonianza e grida: «Questi era colui di cui ho detto». Dice era perché in principio era il Verbo e nello stesso tempo lo indica: questi.
Giovanni dunque ha detto questo: «Colui che viene dopo di me è stato posto davanti a me», si è rivelato più grande di me.
Gesù viene quindi dopo di lui come il Signore viene dopo il suo servo che lo annuncia. Da dove Giovanni fa derivare questa sua affermazione? Dal fatto che «era prima di me». Viene dopo come uomo ma è stato posto sopra di lui perché era prima di lui. In tal modo Giovanni apre la porta sulla divinità di Gesù. Nessun uomo, che viene dopo in ordine di tempo, può essere prima di un altro. Poiché era prima di Giovanni, Egli è prima di qualsiasi uomo; infatti la sua preesistenza non si colloca all'interno della generazione umana ma di quella divina.
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Alla voce degli apostoli e a quella di Giovanni si unisce la voce stessa della comunità dei credenti che può testimoniare che Gesù è il Verbo di Dio, l'Unico dal Padre, perché dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia di fronte a grazia. Egli è apparso in mezzo a noi pieno di grazia e di verità (v. 14) per donare a quanto lo hanno accolto dalla sua pienezza e grazia di fronte a grazia.
L'espressione e grazia di fronte a grazia è variamente interpretata. Essa può indicare le due economie, quella della Legge e quella dell'Evangelo. Anche la Legge ha una grazia dispensata dalla pienezza del Verbo. Questa grazia consiste, come dice l'apostolo Paolo, nella conoscenza del peccato (Rm 3,20). A questa grazia iniziale e imperfetta è stata aggiunta la grazia evangelica come remissione dei peccati e partecipazione alla vita divina.
In modo mirabile così commenta Crisostomo: «Vi è una duplice alleanza, un duplice battesimo, un duplice sacrificio, un duplice tempio e una duplice circoncisione. Vi sono così due specie di grazie, l'unica dell'Antico Testamento e l'altra del Nuovo. Ma all'Antico Testamento appartengono le figure, al Nuovo invece la verità che era stata figurata».
S. Agostino invece vede nelle due grazie quella della fede e quella della vita immortale: «la stessa fede è grazia e la vita stessa è grazia su grazia».
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Perché si collega a quanto precede e lo spiega. Noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia a differenza dei giusti dell'antica alleanza perché la Legge è stata data attraverso Mosè. In verità Mosè fu fedele in tutta la casa di lui come servitore, per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi; Cristo, invece, lo fu in qualità di Figlio costituito sopra la propria casa (Eb 3,5-6). Pur provenendo dal Verbo, la Legge è stata data attraverso il servo e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare (1 Cor 10,2). Anche gli anziani ricevettero lo Spirito da Mosè (cfr. Nm 11,25). Il mediatore non è solo colui tramite il quale Dio fa il dono ma segna anche i limiti del dono stesso. Essendo egli servo, attraverso la Legge, dà testimonianza al Figlio attraverso norme e riti che sono simboli e figure di ciò che doveva essere annunziato più tardi.
Diversa è la situazione in cui la mediazione è quella del Verbo fatto Carne che è Gesù Cristo. L'Evangelo finalmente ne pronuncia il Nome: Gesù è il Cristo, il Verbo divenuto Carne. Egli è mediatore della grazia e della verità. Prima che divenisse uomo la grazia e la verità erano adombrate e profetizzate; facendosi visibile in mezzo a noi, Gesù Cristo ha fatto la grazia e la verità, le ha fatte passare dall'ombra delle figure e dalla profezia alla realtà. Attraverso di Lui è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza di tutti gli uomini (Tt 2,11). Attraverso di lui Dio ha mostrato la fedeltà alle sue promesse e quindi la loro verità.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.]
La fondamentale differenza tra Mosè e Gesù in rapporto alla rivelazione sta in questo: Mosè, essendo uomo, non ha mai visto Dio, Gesù invece, essendo l'Unigenito Dio, è nel seno del Padre.
Nessuno ha mai visto Dio: coloro infatti di cui la Scrittura afferma che hanno visto Dio, hanno visto «simboli figurativi del Signore, ma non la realtà della sua presenza» (S. Agostino).
Nessuno può dunque vedere Dio se non per la mediazione del Cristo perché questi è l'Unigenito Dio che è nel seno del Padre. Infatti solo dopo la sua glorificazione è possibile contemplare il Padre ma solo attraverso la sua Carne glorificata. Tutti contempleranno la natura divina attraverso la natura umana del Cristo. Questi, al contrario, vede Dio senza alcuna mediazione perché è l'Unigenito Dio. Divenendo uomo, non cessa di essere quello che è da sempre, cioè l'Unico del Padre, quindi Lui pure Dio, non separato dal Padre, è infatti nel suo seno.
Solo Lui quindi poteva parlarci di Dio. Alla domanda del Siracide: Chi lo ha visto e ne può riferire? (43,31), risponde l'Evangelo: Egli ha rivelato perché lo ha visto e continuamente lo vede.
Qui sta la fondamentale differenza tra Mosè e Gesù Cristo che si riflette nel rapporto Legge ed Evangelo. La rivelazione della Legge avviene nei simboli e nelle figure, quella dell'Evangelo nella grazia e nella verità. La conoscenza che la Legge dà di Dio è nell'oscurità della nube, la rivelazione evangelica è nell'intimità della natura divina della quale sono diventati partecipi i credenti in quanto generati da Dio.